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Qualche anno fa chiesi al mio vecchio professore, architetto Marco Romano, studioso di storia della città, di scrivere un breve saggio sulla storia dell’ospitalità quale premessa ad un libro che stavamo curando (Giacomo Rizzi, Il benessere in hotel, Ideabook, 2007). Ciò che più mi sorprese del suo ragionare fu l’idea che dalla fine del Cinquecento “l’albergo è il luogo di incontro tra cittadini e forestieri, equiparato ad una strada pubblica, cui l’oste non possa negare l’accesso a nessuno” (p. 11).
Da allora l’albergo diventa un elemento stesso della città, un “complemento” della città, una cerniera tra l’interno e l’esterno.
L’edificio che ospita l’albergo assume un ruolo che va ben al di là della stessa funzione di fornire asilo ai viandanti: per questo si fa sempre più riconoscibile, diverso, a volte esagerato, fino a diventare esso stesso una destinazione come lo sono sempre più certi alberghi del passato o contemporanei.
E’ così che l’hotel diventa oggetto della comunicazione di un luogo, desiderato e ricercato quanto un monumento del passato perché rappresenta una delle espressioni più compiute dell’ architettura di oggi che racconta le idee ed i sogni del committente e della città che lo ospita.
Quindi dobbiamo tornare all’idea del passato e accettare che l’hotel sia il segno a volte il più incisivo di un luogo, così come lo erano le chiese, o i municipi, e lo sono oggi i luoghi dello sport, i musei o gli alberghi appunto. Ma perché questo avvenga la comunità locale dovrà accogliere l’idea che la nuova opera possa modificare l’aspetto noto della città e sostituire un’immagine con un’altra, affinché sia il cittadino sia lo straniero viandante si avviino a riconoscere nella nuova costruzione il simbolo di un’epoca che muta.
Molte norme dell’urbanistica, a partire dal concetto stesso di zonizzazione, sono inadeguate a favorire la rinascita della città turistica e dell’hotel in quanto opera che segna l’ambiente urbano.
A nostro parere vanno rimosse quelle norme pubbliche che hanno ostacolato (e tuttora bloccano) lo sviluppo in senso più moderno ed accogliente delle città turistiche italiane (soprattutto -ma non solo- marittime), e che ostacolano la creazione di una moderna industria dell'accoglienza in Italia e l'ingresso di compagnie alberghiere estere, con positivi effetti sulla competizione e concorrenza, sull'incremento del numero di turisti, sull'occupazione e l'economia nel suo complesso. Al contempo deve essere favorita l’attività dei piccoli imprenditori del settore, vera spina dorsale del turismo italiano odierno, permettendo ai conduttori più intraprendenti di acquisire e rammodernare gli hotel da loro gestiti, e di acquisire nuove strutture, accorpandole alle proprie, in modo di riuscire a competere con le più grandi strutture gestite da gruppi e catene.
Richiamiamo gli enti comunali e regionali all’obiettivo di trovare il giusto strumento per contemperare gli interessi economici degli investitori, quelli propri dell’ente pubblico che cerca il bene per la collettività, le idee dell’architetto che desidera proporre soluzioni innovative a memoria di una stagione culturale, le necessità proprie delle società di gestione che hanno lo scopo di rendere profittevole l’attività turistica.
La progettazione e la realizzazione di un hotel, sia in un contesto urbano di città, sia in una località prettamente turistica, è sempre un’attività che qualifica e segna definitivamente un contesto. Per questo non può essere trattata a livello di piano generale con una semplicistica indicazione di zona, volumi ed indici.
A nostro parere l’hotel ha un ruolo particolare all’interno del contesto in cui si inserisce - sia esso città, mare, montagna o campagna- proprio perché al contempo svolge una funzione pubblica di accoglienza del viaggiatore e rappresenta una frase del discorso complessivo del contesto stesso. Inoltre la sua costruzione e la sua realizzazione hanno un alto impatto sull’ambiente circostante, perché l’hotel modifica – o può modificare – skyline, silhouette, uso di piazze o vie, addensare gente ove oggi ce n’è poca e diventare un nuovo polo di attrazione, soprattutto se si tratta di un’opera architettonica importante e con molto carattere.
Sono favorevole a che le nostre città mutino aspetto, lasciando che la conservazione più rigorosa riguardi i centri storici con centinaia d’anni (e in date circostanze è possibile mutare anche quelli). Invece credo che alcune zone meno nobili della città turistica, costruite male negli anni Cinquanta e Sessanta, possano e debbano essere oggetto di quella riprogettazione unitaria che non ebbero in origine, affidata alla matita di un “visionario ispirato”, approvata dalla collettività dopo profonda riflessione ed infine eseguita e realizzata, e non lasciata a decantare per anni come aceto in botticella.
Gli obiettivi da perseguire sono almeno tre.
- Innanzitutto la trasformazione e l’abbattimento delle strutture alberghiere più obsolete, quelle con le camere più piccole, meno accoglienti, con un numero modesto di camere, povere di servizi.
- Poi l’aumento delle superfici scoperte e destinate ad un uso pubblico, luogo di incontro e di relazione tra dentro e fuori dell’hotel, accanto all’incremento delle superfici destinate a servizi attualmente non presenti in quelle porzioni di città. Il tutto con l’obiettivo di rendere le nostre città turistiche nuovamente appetibili per una clientela che oggi cerca non più in Italia ma all’estero soluzioni e risposte alle proprie esigenze di benessere.
- Infine occorre permettere che la gestione sia affidata a compagnie alberghiere abbastanza grandi da ridurre complessivamente i costi unitari e operare una buona competizione di prezzo sui mercati internazionali.
Questi tre obiettivi, per essere raggiunti, hanno bisogno di investimenti importanti, già di per sé non facili da promuovere, e di certo impossibili se l’ente pubblico e le sue norme non favoriscono l’intervento di operatori anche istituzionali (come i fondi comuni di investimento immobiliare) che hanno precise logiche operative e finanziarie.
Ecco quindi aprirsi, nel caso di progetti di trasformazione urbana importanti con destinazione alberghiera, l’esigenza che i progetti architettonici, gli studi planovolumetrici, le idee ed i concept non vengano imbrigliati dentro le norme ed i vincoli, ma siano trattati come un’opera unitaria che ha lo scopo di modificare ed arricchire quella porzione di città, come nel casi di un edificio pubblico, un museo, uno stadio, una stazione ferroviaria. Come queste opere, infatti, anche l’albergo ha un rilevante riflesso sul proprio intorno. Per questo dovrà essere oggetto di un esame sì attento, ma dedicato, approvato con una procedura speciale, forse pure in deroga al piano esistente, chiamando a raccolta per valutarlo il meglio della cultura architettonica ed urbanistica, ma coinvolgendo anche gli operatori turistici e gli economisti del turismo, per comprendere gli effetti che quell’opera potrà avere sulla città che la ospita.
Una semplice nota sulla tempistica di operazioni di rinnovo come quelle qui delineate. Da quando si ha l’idea a quando la si realizza non possono passare decenni. Tre o quattro anni possono essere ragionevoli. Se due anni servono per la costruzione, allora solo due al massimo (o meno) dovranno bastare per l’approvazione a tutti i livelli. Questo è un problema noto, che però viene risolto in modo diverso in diverse regioni italiane. Se desideriamo risollevare il nostro turismo dal limbo in cui sta lentamente sprofondando, le risposte devono essere rapide. Le non-risposte, o le risposte lentissime, servono solo a far fuggire anche quei pochissimi che hanno ancora voglia di impegnarsi in questo nostro Paese.
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