Nel giorno dell' 89° compleanno di Alessandro Tutino, amato professore, maestro che ebbe a dirmi qualche tempo fa.... "avevamo ragione ma abbiamo perso", in risposta a questo tweet:
URBANISTICA E TURISMO
E' sempre più evidente la relazione tra la città, il territorio, la conservazione della natura, la valorizzazione dei beni storico artistici da un lato e l'attività turistica dall'altro.
Ne parlo da tecnico-urbanista che ha applicato il proprio know how e la propria forma mentis al turismo (non credo siamo più di quattro-cinque in Italia ad avere una competenza ed una specializzazione così marcate).
La pianificazione (di scala vasta, regionale o sovraregionale) quando si occupa di turismo dovrebbe considerare:
1. tutti i problemi di trasporto delle persone;
2. la questione dell'ambiente che accoglie il turista, gli aspetti estetici ma anche quelli funzionali;
3. l'organizzazione della città turistica o degli insediamenti turistici, il loro numero, le dimensioni ed i servizi ad essi annessi;
4. l'aspetto dell'investimento, sincronizzando l'investimento privato con quello pubblico, valutando eventuali sostegni che il pubblico può dare al privato che investe in condizioni di svantaggio rispetto a competitor nazionali ed internazionali.
I QUATTRO ELEMENTI
Quelli qui elencati sono quattro degli aspetti principali, forse non esaustivi, del tema.
1. Sul "viaggio", e sull'esigenza di "pianificare i movimenti dei turisti", anche le cronache di questi giorni segnalano quanto sia influente la qualità del trasporto affinchè il turista abbia un buon approccio al soggiorno e alla vacanza.
Aereo, treni, strade, traghetti sono essenziali per rendere positiva la vacanza. Nulla guasta di più una vacanza di un contrattempo durante il viaggio. Nulla frena più di un costo eccessivo del viaggio.
Lo sanno bene i turisti che vanno in Sardegna sia con la nave o con l'aereo. O che vogliano affittare un'auto in un aeroporto sardo.
Ma anche chi voglia fare un week end a Rimini, viaggiando sulla A1-A14.
2. Poi c'è la questione dell'ambiente in cui si passa la vacanza. Si tratti di un centro storico, tanto amato dai turisti stranieri che visitano l'Italia. Oppure si tratti di una località di vacanza, in montagna, o al mare.
In tutti i casi l'urbanistica avrà lo scopo di preservare il bello e di ridurre l'impatto di opere, che anche quando necessarie, devono essere esteticamente gradevoli.
Proprio in questi giorni è balzato agli onori della cronaca il caso dell'Hotel Santa Chiara di Venezia, dopo che, tolti i ponteggi, finalmente si è potuto vedere il risulato di lavori durati anni. Secondo me si tratta di un pessimo esempio di come si dovrebbe coinvolgere architetti, cittadini ed eseperti nella progettazione e valutazione di un'opera nuova, moderna, in un ambiente storico delicatissimo.
Gli albergatori veneziani sono inferociti...
3. In questo quadro va riproposto il tema della città turistica, su cui mi cimento da diversi anni. Ogni città, ogni località che voglia fare del turismo il proprio punto di forza anche economico, dovrebbe fare una riflessione su quale tipo di turismo desidera attrarre e con quale tipo di infrastrutture architettonico-urbanistiche.
Dovrebbe inoltre darsi una prospettiva ragionevolmente fondata sull'evoluzione sociologica della propria popolazione e imprenditorialità, cercando poi di perseguirla coerentemente nel tempo.
Invece i segnali che vengono dalla cultura urbanistica più diffusa nelle città turistiche sono quanto mai contraddittori: da un lato si esalta il valore del piccolo (piccolo è bello, la conduzione famigliare, l'imprenditore con moglie e figli) ma dall'altra si constata che quel tipo di imprenditore al cospetto dell'organizzazione odierna del turismo, non ce la fa più, scompare, in Sardegna come in Emilia Romagna, sotto il peso delle troppe ore lavorate, una finanza risicata, margini in peggioramento, debiti.
Così mentre si dice che piccolo è bello, un "piccolo" che non rende e non funziona, se non in pochissimi fortunati casi che vanno assolutamente preservati, si dovrebbe anche dire che per un turismo di massa, un turismo che permetta di accogliere i milioni di turisti che un paese come il nostro può aspettarsi, dovremmo organizzare una città diversa, più simile ad un meccanismo "industriale" nell'organizzazione, ma dall'aspetto, da un design e da un'architettura invece molto coerenti col genius loci.
4. E arriviamo quindi al nocciolo della questione, dovendo chiederci quale attività dovrebbe fare lo Stato per favorire e promuovere questo o quel modello.
Iniziamo col dire che l'Italia non è tutta ugualmente omogenea, e per ciascuna destinazione si dovrebbe scegliere una strategia diversa, definita nel dettaglio da un piano turistico dibattuto, definito, approvato e poi per 10 anni implementato. Finora non c'è nulla di tutto questo.
Ci sono delle località dove non si dovrebbero permettere opere che ne sconvolgessero l'aspetto (Venezia è sicuramente tra queste) oppure dove l' "Opera" anche modernissima dovrebbe essere un segno che rimanga nei secoli (come ad esempio il Beaubourg di Parigi).
Da questo punto di vista alcune esperienze fatte a Jesolo a mio parere sono interessanti, anche se molto isolate, quasi uniche.
INVESTIMENTO E FINANZIAMENTI PUBBLICI
Poi c'è l'aspetto dell'investimento.
In generale è opportuno che ci pensi il mercato. Lo Stato dovrebbe realizzare solo quelle infrastrutture senza le quali il privato non investe (aeroporti, strade, ecc.). E anche quelli dovrebbero essere pensati e non finanziati a pioggia... ma per fortuna di soldi non ce n'è più (fosse per me ce ne sarebbero ancora meno).
Ho fatto da tempo (qui) le mie proposte, che restano per la storia visto che oramai sono vecchie di quasi dieci anni. Non mi aspettavo che qualche ministro si degnasse di chiamarmi per un confronto, però che le le leggesse sì.
Si dovrebbe ridurre l'invedenza dello stato che tassa le attività economiche al punto che gli investimenti privati in Italia sono crollati a livelli inimmaginabili.
Così nelle attuali condizioni di pressione fiscale e di norme burocratiche e di difficoltà di credito (tutte cose che lo Stato dovrebbe impegnarsi a ridurre sensibilmente) considero utile un meccanismo (alternativo, e per questo a mio parere meno fluido) che favorisca quelle imprese che investono nel rinnovo degli hotel: il credito di imposta per chi investe.
Proprio io, con Valdameri, siamo stati tra i primi a chiedere il Tax Credit per gli hotel che investono.
Abbiamo però anche detto subito (anche all'amico Stefano Ceci che a quanto ci consta ha partecipato alla stesura del Decreto Art Bonus) che quel decreto era ed è molto deludente per almeno le seguenti ragioni:
a) prevede un limite (di 660.000 €) alla deducibilità dell'investimento che va molto nell'ottica del "piccolo è bello", mentre le strutture che più hanno bisogno di rinnovo sono quelle più grandi
b) prevede un importo globale di operazioni finanziate a nostro parere troppo limitato in relazione all'esigenza di rinnovo che abbiamo in Italia
c) Utilizza il sistema del click day (e cioè si finanziano i primi... cento che nei primissimi minuti riescono ad prenotare il finanziamento, quando si apre la gara e la corsa al finanziamento, molto simile al Musichiere se non fosse fatto in via elettronica). Cioè prima si fanno gli investimenti e dopo si sa se si ottiene il finanziamento.
Questi tre limiti, sommati, segnano così profondamente il provvedimento da renderlo niente più che un pannicello caldo, per qualche centinaio di hotel, quelli che comunque avrebbero fatto i lavori, quelli che hanno finanza e conto economico in ordine da poter avere utile (da cui detrarre l'investimento).
Vedremo i risultati ad ottobre che leggeremo con il solito sguardo disincantato.
ALTRI FINANZIAMENTI
Contemporaneamente lo Stato finanzia con decine di milioni operazioni singole, di singoli operatori, che grazie al finanziamento a fondo perduto possono rinnovare il proprio hotel ottenendo una condizione privilegiata, in concorrenza con altri operatori che invece il finanziamento non l'hanno avuto. Questo avviene sia attraverso Invitalia, sia attraverso i fondi di Cassa Depositi e Prestiti.
Voglio qui ribadire che mentre sono molto favorevole al Tax Credit (una volta che i limiti più evidenti saranno rimossi), resto assai dubbioso sull'opportunità di finanziare a fondo perduto gli hotel di privati, con i denari dello Stato.
Nel tempo passato (ma fino ad ieri o a oggi) i finanziamenti pubblici sono serviti a finanziare opere il cui costo veniva sovrastimato, con fatturazioni gonfiate, in modo che l'opera venisse pagata quasi per intero dal finanziamento pubblico. Questa cosa è nota, anche se non è facile provarla, ma come è costruito il meccanismo di agevolazione, permette proprio queste distorsioni.
In Sardegna sono state finanziate opere di hotel in contrasto perfino con le indicazioni della Unione Europea ed oggi gli albergatori devono restituire 35 milioni di contributi ricevuti illegittimamente.
In Sicilia (ma anche in Calabria) sono stati finanziati hotel che poi alla prova dei fatti non davano il risultato economico previsto da business plan generosi. Caso eclatante il Giardini di Costanza, che è finito con un fallimento.
Ripeto una cosa che forse a qualche storico dell'arte non è perfettamente chiara. (Ma se conoscesse qualche ufficile di GdF sono certo riceverebbe chiarimenti adeguati).
Molti di quei finanziamenti vengono dati a una "Immobiliare" imparentata con la "Impresa di costruzione" e l'unico scopo è quello di far lavorare l'impresa, con i soldi pubblici e quelli della banca, ed una volta costruito l'hotel, poco importa se l'immobiliare non riesce a pagare i mutui generosamente ricevuti, grazie anche alla componente di finanziamento pubblico.
Non importa se la qualità prodotta non è quella prevista dai progetti o dai capitolati iniziali.
Quello che conta è che giri il denaro (meglio se di altri, pubblico o di banche, o di qualche fondo - magari pensionistico - amico che compra alla fine del giro).
Quante volte è successo questo meccanismo?
Una, dieci, cento? Non lo so. In certe regioni di più ed in altre di meno.
Ci sono state tanti leggi per il sud, che permettevano di distribuire soldi a imprenditori che poi l'impresa albergo non la facevano funzionare.
Dal numero di incagli, e fallimenti che ci sono in giro sembra che la cosa sia molto diffusa.
Il mio timore è che anche con i prossimi finanziamenti si inneschino meccanismi simili, tanto, è noto, fatta la legge trovato l'inganno, e a pensar male si va all'inferno.
Come fare quindi a favorire la crescita (anche turistica) del Sud senza incorrere in questi problemi?
A mio parere si dovrebbe intervenire sul lato delle tasse, delle tariffe, del costo del lavoro e dell'energia.
Così anche gli italiani (e non solo gli stranieri) avrebbero interesse ad investire. Sennò vedremo solo arabi, cinesi e russi a far man bassa dei nostri pezzi più prestigiosi, e colmo della ironia, utilizzando le opportunità offerte dal finanziamento pubblico.
E chi sta al governo lo lascia fare, per un'Italia più bella e più superba che pria.
Bravo. Grazie.
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