Urbanistica e politiche fiscali per favorire la crescita del settore alberghiero
Perché l’Italia è scivolata al sesto posto per arrivi turistici, superata anche dalla Spagna? Fra le molte storture da raddrizzare quali sono quelle su cui il legislatore nazionale e regionale dovrebbe focalizzarsi?
Partiamo da alcuni dati di fatto.
Trip Advisor è una buona cartina al tornasole per valutare le tendenze del mercato: nelle prime 25 destinazioni mondiali Roma è settima, Venezia sedicesima, e Firenze ventunesima. Poi vengono Capri, Amalfi, Positano, Sorrento e Pompei. In generale quindi possiamo dire che chi usa Trip Advisor considera l'Italia e le città storiche italiane una attrazione da visitare.
Invece, nessuna spiaggia italiana entra nella short list delle prime venticinque. San Vito lo Capo e Villasimius sono nelle prime 25 europee. L'hotel Villa Ducale di Taormina è ventitresimo nella speciale classifica dei 25 hotel preferiti dagli utenti di Trip Advisor.
Secondo la World Tourism Organisation il sistema "Viaggi e Turismo" italiano produce il 14 percento del PIL (dati 2009) con circa 220 miliardi di Euro tra diretto e indiretto. Questo dato viene spesso citato per sostenere l'importanza che assumono le politiche pubbliche a supporto del settore (per chiederne e per prometterne) ma nasconde al contempo il costante declino che il settore sta subendo da qualche decennio a questa parte, responsabilità congiunta del potere pubblico e della maggior parte degli imprenditori del settore, che come molti imprenditori italiani negli ultimi anni sono apparsi stanchi e demotivati, più attenti ad operazioni immobiliari rivelatesi (col senno di poi) perdenti, piuttosto che ad un vero processo di costruzione e crescita di un'industria - quella turistica - che davvero potrebbe rappresentare uno dei settori propulsivi della rinascita economica italiana.
Il turismo italiano soffre dei mali di buona parte dell'economia italiana, necessita di più capacità competitiva, innovazione, investimenti mirati, valorizzazione delle eccellenze.Ora non si tratta di guardare ai trend negativi del passato ma di fare proposte per il futuro, il più prossimo e quello di medio periodo, cercando di individuare soluzioni che favoriscano una rinascita del settore, per chi investe e per tutta l’economia nazionale, che dovrebbe stare a cuore a tutti.
Secondo il World Economic Forum (WEF) che ha pubblicato una ricerca sulla competitività del turismo di oltre 130 nazioni, l'Italia si colloca al 28° posto nella speciale classifica mondiale. I fattori che maggiormente penalizzano il nostro paese - che peraltro è tra i primi per offerta storico artistica e per offerta turistica, intesa come quantità di camere d'albergo - sono:
a. Il prezzo dei soggiorni alberghieri (124° posto)
b. I rischi connessi al traffico (107° posto)
c. Crimine e violenza (73° posto)
d. La poca efficacia delle politiche di marketing per attrarre turisti (108° posto)
e. La povertà di connessioni aeree internazionali (89° posto)
f. La spesa - qualità e quantità - del governo per il turismo (61° posto)
Qualunque amministratore pubblico che volesse migliorare il nostro sistema turistico ha nel breve elenco qui riportato la summa dei "to do".
Un fattore di mancata competitività, non misurato dalla ricerca WEF ma ben noto agli addetti ai lavori, è la scarsa qualità delle strutture alberghiere italiane, sia per la dimensione delle camere, che per gamma dei servizi offerti, e per le condizioni generali di manutenzione. Questo dato legato alla scarsa competitività di prezzo ha come effetto un atteggiamento schizofrenico del cliente-turista: “per me l'Italia è un top in mind ma non ci vado”.
Questo punto è rilevante perché coinvolge l'interazione tra pubblico e privato, mentre gli altri temi sollevati dalla ricerca del WEF investono ben altri attori e capacità di intervento.
La tesi che qui presentiamo è che sul tema "qualità delle strutture alberghiere" e "prezzo di vendita al pubblico delle camere d'hotel" si possa e si debba intervenire rapidamente con politiche pubbliche anche di costo contenuto, ma che potrebbero dare risultati e risposte positive nel breve-medio periodo, favorendo l'attrazione di investimenti (anche esteri), dando vita ad una immediata attività di rinnovo delle strutture edilizie alberghiere con ricadute positive su tutta l'economia italiana.
A scanso di equivoci va detto chiaramente che chi scrive ha da sempre un profondo rispetto ed attenzione della qualità del territorio che va preservata e - lì dove è possibile - ripristinata. Molti se dicenti difensori del territorio nel passato non hanno saputo né voluto difenderlo dalle aggressioni che oggi rappresentano il vero ostacolo al suo uso intelligente ed economicamente profittevole, anche in senso turistico; se è vero che il WEF riconosce all'Italia una eccellenza per la presenza di capolavori del passato (arte ed architettura) mentre lamenta una scarsissima attenzione e capacità di valorizzare le eccellenze naturali.
A nostro parere vanno rimosse le norme pubbliche che hanno ostacolato (e tuttora bloccano) lo sviluppo in senso più moderno ed accogliente delle città turistiche italiane (soprattutto ma non solo di costa), che ostacolano la creazione di una moderna industria dell'accoglienza in Italia e l'ingresso di compagnie alberghiere estere, con positivi effetti sulla competizione e concorrenza, sull'incremento del numero di turisti, sull'occupazione e l'economia nel suo complesso. Al contempo deve essere favorita l’attività dei piccoli imprenditori del turismo, vera spina dorsale del turismo italiano odierno, permettendo ai conduttori più intraprendenti di acquisire e rammodernare gli hotel da loro gestiti, e di acquisire nuove strutture, accorpandole alle proprie, in modo di riuscire a competere con le più grandi strutture gestite da gruppi e catene. In questo senso vanno le proposte di legge di cui diremo in seguito.Su questo tema PLANETHOTEL.NET in collaborazione con la società di consulenza Progetto Turismo ha organizzato nel novembre 2011 a Bologna una giornata di studio che ha chiamato a raccolta un gruppo di circa 25 relatori esperti di architettura, urbanistica, amministratori pubblici proprio per fare il punto su "urban design & hotel industry", tema finora poco praticato.
I risultati di quei lavori sono raccolti in una serie di interventi video in www.planethotel.net/urbandesign e possono essere sintetizzati in questo modo:
1. Il valore di una struttura alberghiera è legato all'utile che l'attività industriale genera, per questo il prezzo richiesto in caso di vendita di un hotel non deve far riferimento a valori al metro quadrato ottenuti per immobili attigui a destinazione residenziale o terziario, bensì sarà strettamente legato ad un fatturato esistente o ipotizzato da un business plan credibile.
2. Dato il maggior rischio proprio dell'investimento alberghiero, la redditività prevista (e richiesta) deve essere maggiore rispetto ad investimenti immobiliari come residenza o uffici, conseguentemente, poiché il costo dell'intervento edilizio o di ristrutturazione è abbastanza rigido, quello che varia - in decremento - è il valore immobiliare o fondiario.
3. A parte i casi di piccoli hotel di successo, soprattutto di altissima qualità come i boutique hotels (in città o immersi in zone incontaminate e suggestive dove sarebbe impensabile costruire grandi strutture), in generale l'aumento della competitività passa per la creazione di strutture alberghiere (o di raggruppamenti di hotel) con un (più) alto numero di camere. Questo dato viene confermato dalla tendenza a far volare aerei sempre più grandi e alla organizzazione di eventi sempre più affollati che richiedono strutture alberghiere con un adeguato numero di camere.
4. Stato e regioni dovrebbero quindi studiare normative fiscali ed urbanistiche favorevoli agli hotel più piccoli che sono destinati a uscire dal mercato soprattutto per i raggiunti limiti d’età dei loro proprietari o gestori, promovendo tre soluzioni: lo svincolo della destinazione alberghiera limitato a pochi casi puntualmente definiti, la vendita defiscalizzata al gestore, l’accorpamento con strutture attigue che favoriscano operatori piccoli ma capaci di crescita turistica. In alcuni contesti è opportuno promuovere con normativa fiscale la trasformazione in piccoli hotel di lusso (boutique) dove il cliente viene trattato come a casa.
5. La maggiore competitività passa anche dal costruire imprese alberghiere di successo che possano gestire un numero di camere tali da poter sostenere un efficiente ufficio centralizzato, così come avviene in Europa e America. L’aggregazione volontaria soprattutto ai fini commerciali dei piccoli hotel finalizzata ad una riduzione dei costi, una maggiore efficienza, ed un controllo della qualità rappresenta un potente strumento di crescita economica per il nostro paese.
Quali sono i punti che il legislatore dovrebbe aggredire rapidamente al fine di favorire la maggiore competitività della nostra industria turistica?
1. Molti degli hotel italiani sono stati costruiti tra il 1960 e il 1980 e rispondono alle caratteristiche di standard e di servizio richiesti dalla clientela di quel tempo. Oggi gli standard di qualità e di servizio si sono fortemente evoluti e di conseguenza quegli hotel sono obsoleti. Alcune loro caratteristiche strutturali sono poi veramente antiquate sia per quanto riguarda il tema della sostenibilità ambientale ed energetica sia per quanto riguarda la gestione/contenimento del rumore. Anche dal punto di vista gestionale, per come sono fatti richiedono più personale di un hotel più grande e più nuovo. Dopo 30-40 anni essi sono stati certamente ammortizzati e andrebbero pesantemente ristrutturati. Bisogna prendere atto che una azione di rinnovo delle singole strutture, soprattutto quelle di minori dimensioni che rappresentano la maggioranza dei casi, non trova sostegno in un business plan credibile, perché ristrutturare ha spesso un costo molto elevato, con risultati non comparabili ad un intervento nuovo. Ma anche abbattere e ricostruire un hotel di dimensioni limitate non permette di creare un prodotto competitivo.
Questi fenomeni già presenti prima della crisi si sono adesso acuiti, è compito del legislatore di evitare una trasformazione traumatica del settore, soprattutto per piccoli hotel di vacanza che improvvisamente alla nuova stagione non riaprono.
Le nostre città turistiche diventano sempre più marginali, i prezzi di vendita delle camere calano inesorabilmente, continuando quella spirale che già abbiamo conosciuto, salvo i picchi di prezzo in alta stagione che mal si rapportano con la decaduta qualità degli hotel.
I dati presentati qui sopra dimostrano come i competitori internazionali si presentino sul mercato con prodotti più nuovi in destinazioni con minor costo della forza lavoro e dell'energia, con prezzi più competitivi che si accaparrano e si accaparreranno sempre di più la clientela che "nei bei tempi andati" veniva in Italia.
In questi casi, l'urbanistica può venire in aiuto dei piccoli proprietari e permettere di accorpare due o più strutture alberghiere dando un premio in termini di cubatura a quelle operazioni che si fanno carico dell’onere di rinnovare la città. Contemporaneamente andrebbe favorita la trasformazione in unità residenziali, svincolandoli dalla funzione alberghiera, dei piccoli hotel che non svolgono più una funzione di mercato, ovviamente con il pagamento di oneri urbanistici che invece dovrebbero essere alleggeriti o esentati nel caso delle strutture alberghiere. Non è nostro compito quello di dare delle ricette di dettaglio, ma solo di segnalare un'esigenza: su questi temi abbiamo da anni riflettuto e analizzato diverse esperienze, alcune positive, altre meno, ma tutte interessanti per poter mettere a punto un programma applicabile.Certo che ci vuole coraggio, sia da parte dei sindaci che da parte degli assessorati regionali. Contrariamente a quanto si pensi serve meno lasser faire e molto più progetto e guida. Non si tratta di far fare ai privati tutto quello che vogliono, ma di favorire con una mano ferma quegli imprenditori (soprattutto i più piccoli) che intendono utilizzare il patrimonio immobiliare per rilanciare l’ industria alberghiera.
2. Il primo punto ha una conseguenza nel secondo tema che qui trattiamo.
Stanti i valori fondiari attuali degli hotel (per quanto ridotti dalla crisi economico finanziaria iniziata da oramai quattro lunghissimi anni), stanti i costi di ristrutturazione, e stanti i prezzi di vendita - calanti - dei pernottamenti in hotel, ed i costi di personale ed energetici, è opinione comune condivisa che la redditività in un investimento alberghiero non possa raggiungere i valori attesi dalla rischiosità propria dell'investimento stesso. In particolare vi è un modello - tipicamente italiano - di redditività che per mille ragioni sta mostrando tutti i propri limiti: ci riferiamo alla locazione immobiliare dell'hotel. Secondo questo modello il costruttore o immobiliarista detiene la proprietà dell'albergo e lo affitta ad un canone annuo non rapportato alla redditività dell'hotel, ma all'investimento fatto, normalmente ottenendo una rendita che gli permette di pagare le rate di mutuo che gravano sull'immobile stesso, patrimonializzando la società.
In passato, in una situazione economicamente e finanziariamente più florida, per hotel nuovi, costruiti con un forte contenimento di tutti i costi, era possibile trovare società di gestione che offrissero una rendita prefissata certa e garantita da fideiussione bancaria. Era inoltre possibile che tale rendita fosse di qualche punto percentuale superiore a quella garantita da analogo capitale investito in residenza o uffici.
Su questo modello sono sorte e sviluppate alcune compagnie alberghiere che in anni floridi hanno avuto una crescita robusta, ma quando la crisi ha ridotto pesantemente i margini delle compagnie di gestione, e di conseguenza i canoni garantiti per la locazione non erano più sostenibili, il modello è entrato in crisi, cosa ben nota alle banche che sono particolarmente esposte verso società immobiliari proprietarie di hotel che non ricevono più le rendite attese.
Si dovrebbe qui entrare nella valutazione di singole scelte fatte da specifiche compagnie, ma non è questo il tema. Quello che vogliamo mostrare è che in Italia è andato in crisi un modello, che ora deve essere sostituito da un altro.Nel settore vivono due modelli di business: lease o management. Nel primo caso la proprietà dà in locazione un immobile e riceve un canone d'affitto. Nel secondo caso la proprietà gestisce l'albergo con una propria società di gestione, che viene affidata ad una società di management, la quale riceverà un compenso in relazione al risultato economico che viene prodotto dall'attività alberghiera.Nel primo caso il proprietario è "sicuro" di ricevere un affitto, almeno finché le cose vanno bene, e il locatario non smette di pagare il canone, in questo caso grazie alle leggi sugli affitti liberarsi del locatario risulta assai oneroso e difficile. Nel secondo caso invece il proprietario compartecipa al successo economico della società di gestione e può riuscire ad ottenere un risultato ragionevole anche in anni difficili, però - soprattutto in Italia - è esposto alla fumosità dei bilanci, alla necessità di controllare e contestare acquisti e spese, al rischio che il "manager" imputi fatturati di vendita in quella società e costi in questa. In buona sostanza nel secondo caso il fattore fiducia è determinante nel rapporto tra proprietà e management.
La diffusione del modello locazione e la relativa rarità del modello management dipendono anche da altri due fattori, di nuovo tipicamente italiani, che la legislazione potrebbe aiutare a modificare.
Uno riguarda il ruolo delle banche nell'attività di acquisizione e costruzione degli hotel, perché per finanziare una operazione di acquisto, ristrutturazione e sviluppo alberghiero le banche hanno guardato meno alla bontà intrinseca dell'operazione e molto di più alle garanzie patrimoniali di chi chiedeva il finanziamento per l'operazione stessa. Di conseguenza, tra le garanzie richieste, invece di un approfondito e credibile business plan, le banche hanno sempre preferito una fideiussione data da terzi che garantissero il pagamento dell'affitto.
Il secondo fattore, connesso al primo, sta nella legge che istituisce i fondi comuni immobiliari di diritto italiano, una legge che nel settore alberghiero ha avuto assai scarsa applicazione. Infatti quella legge impone alla Società di Gestione Risparmio esclusivamente di dare in locazione l'immobile alberghiero e le vieta espressamente di poterlo gestire attraverso una società di management. La conseguenza è stata una forte limitazione dell'applicazione della legge stessa, che acuti legali hanno tentato di superare prevedendo affitti basati su quota fissa più quota variabile, o prevedendo società che si frappongono tra la società di management e la società immobiliare. Così si assiste oggi ad hotel dati in locazione a società che hanno solo lo scopo di garantire la fideiussione per conto di società di management che effettivamente gestiscono l'hotel.Si comprende che ancora una volta l'estro e la creatività dei nostri avvocati ha come conseguenza quella di appesantire di costi e di inefficienza una cosa che potrebbe essere semplice e chiara, se solo lo stato permettesse a Fondi immobiliari specializzati nell'alberghiero di comportarsi come si comportano i fondi americani che gestiscono così migliaia di hotel in tutto il mondo.
Lo stato e le regioni, coordinando urbanistica e turismo, dovrebbero mettere mano a questi due temi, che giuridicamente sono complessi, che richiedono una risposta assai tecnica, ma che potrebbe essere data anche in tempi rapidi, ed eliminare due "nodi" che attualmente stanno bloccando la ristrutturazione urbanistica e industriale del nostro turismo. In poco tempo potremmo vedere affluire capitali che richiedono una redditività intermedia tra quella propriamente immobiliare e quella tipicamente industriale, verso un settore dove i premi urbanistici garantiti a chi presenti un buon progetto di rinnovo urbano potrebbero essere sufficienti a motivare investimenti e rilancio di un settore fondamentale per il nostro paese, permettendo la costituzione e la forte crescita di molte società di gestione propriamente alberghiera senza necessità che all'attività di gestione corrisponda una forte patrimonializzazione conseguente della proprietà degli immobili o delle garanzie fideiussorie richieste per ogni hotel preso in affitto.
Post Scriptum
In una situazione come quella descritta, quando anche la liquidità e l'aspettativa di crescita stanno riducendosi, quando il sistema bancario non offre sostegni alle aziende che desiderano rinnovare il proprio prodotto, riteniamo che il governo dovrebbe mettere in campo dei provvedimenti per favorire il rinnovo alberghiero, soprattutto delle strutture che hanno maggiore possibilità di rimanere attive sul mercato.Stiamo monitorando un gruppo di oltre 200 hotel – la maggior parte piccoli hotel - che negli anni passati ci hanno segnalato il loro proposito ad avviare qualche tipo di lavoro di rinnovo o ampliamento. Ebbene solo uno fra tutti i duecento hotel ha fatto i lavori previsti. Tutti gli altri sono fermi. Alcuni per le lungaggini burocratiche necessarie ad ottenere un'autorizzazione ad avviare i lavori. Altri per mancanza di entusiasmo e di prospettive.
Secondo noi il Governo dovrebbe trovare il modo:
a - di incentivare con sostegno fiscale tutti gli hotel che volessero investire e rinnovarsi;
b - di garantire che le banche finanzino iniziative di ristrutturazione e rinnovo degli hotel.
Dovrebbe essere un grande piano di rilancio del turismo e degli hotel, che permetterà di avviare interventi utili e immediatamente anticiclici. Un buon riferimento è la proposta di legge presentata il 29 marzo 2010 dall' On. Elisa Marchioni, di Rimini, che prevede:
1. l'estensione anche agli hotel delle agevolazioni fiscali previste per le ristrutturazioni private, e per la riqualificazione energetica.
2. agevolazioni fiscali per gli hotel che si dotano di piscine, strutture sportive e centri benessere
3. mutui agevolati per l'acquisto di immobili alberghieri e defiscalizzazione delle attività di compravendita di hotel da parte dei gestori.
Alcune associazioni di albergatori, soprattutto quelle che difendono gli interessi degli hotel più piccoli, sono preoccupate per la guerra dei prezzi (con conseguente contrazione dei margini) che si è innescata a causa della crisi: gli hotel che investono in qualità sono costretti a rincorrere al ribasso prezzi di pernottamento proposti da strutture ammortizzate e non riqualificate. Proprio per queste strutture le associazioni propongono soluzioni legislative che ne favoriscano lo svincolo ai fini urbanistici, ottenendo un doppio vantaggio, di ridurre la competizione e permettere ai piccoli albergatori più anziani di vendere ad un prezzo interessante le proprie strutture.
Non siamo favorevoli a questa soluzione se oggetto dello svincolo fossero hotel, anche di piccole dimensioni, collocati in zone turisticamente pregevoli. In questo caso, che è quello più interessante, riteniamo si debba permettere azioni simili a quelle autorizzate in Regione Veneto nel comune di Jesolo, che ha favorito l’abbattimento e ricostruzione con incremento di cubatura, mantenendo sia la destinazione alberghiera ed introducendo anche quella residenziale, il tutto conseguente la presentazione di un progetto di dettaglio da approvare in deroga al piano generale. Lo scopo da perseguire è il ridisegno delle città, soprattutto di costa ma non solo, a partire dalla funzione turistica, con l'accorpamento delle proprietà, favorendo i piccoli proprietari che vogliono crescere oppure attraverso lo strumenti del fondo comune immobiliare chiuso, con aumento delle aree scoperte, ricavando i volumi in altezza, e riarmonizzando la funzione alberghiera e la funzione residenziale.
3 commenti:
Ho letto interamente e attentamente il tuo articolo! I problemi che segnali sono esatti, ma fin quando non ci sara' un vero cambio di mentalità e le poltrone continueranno ad essere assegnate solo x logiche politiche, continueremo a precipitare in qualsiasi ranking turistico e di competitivita! Gente competente in ruoli di responsabilità e figure di spicco ne abbiamo ma son messe sempre ai margini!E i sindaci dovrebbero aver molto più coraggio: pensa che noi siamo in un centro storico medievale friulano e siamo più di 10 anni che lottiamo x poter crescere di 13/15 camere e passare da 27 a 40/42! Non si può tollerare una lungaggine del genere tipica italiana! Arte di non decidere mai e intanto ai perde competitivita', fatturato e nn si muove l'economia. Ci son tAnti burocrati, inadeguati, incapaci e incompetenti che non fan crescere il Paese! Purtroppo!
Ma perchè non consideriamo come abbiamo ridotto molte delle nostre coste, ad una selva di cemento con una urbanizzazione diffusa ed a volte caotica. L'eccesso di carico sulla risorsa spiaggia è percepito come inquinamento, rumore ed a volte anche scarsa qualità dell'offerta turistica e prezzi elevati e non competitivi. La commistione fra turismo, case di villeggiatura ed edilizia residenziale hanno spesso costituito una miscela esplosiva che ha fatto implodere la stessa risorsa ambientale a volte di buona qualità e spesso è stata accompagnata da una gestione urbanistica troppo accondiscendente verso il mattone e le forme speculative ex-ante(rendita fondiaria) on-going (costruire spesso con contributi pubblici) ed ex-post (rendita edilizia o di recupero o ristrutturazione anche con possibilità di altri usi oltre quello residenziale).
E 'vero! I burocrati sono al loro meglio in questo momento. Non riesco a smettere di pensare che siamo lasciati soli a risolvere i nostri problemi da soli. Anche se a volte non sono solo problemi individuali, ma i principali problemi globali che devono essere risolti in altro modo.
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